Alcune riflessioni di Reca ER dopo il 22 ottobre

La manifestazione del 22 ottobre a Bologna sui temi ambientali e del lavoro è andata decisamente bene e può essere assunta come un punto fondamentale di passaggio per lo sviluppo di un movimento ampio a livello regionale e anche nazionale per dare corso a politiche ambientali adeguate a contrastare il cambiamento climatico e costruire la conversione ecologica, affermare i diritti del lavoro, più in generale delineare un’alternativa all’attuale modello produttivo e sociale.

La manifestazione ha visto una forte partecipazione, al di là delle aspettative, fatto che si conferma essenziale per dare forza e incisività alle nostre rivendicazioni, così come altrettanto importante è l’individuazione di obiettivi precisi da porre a base delle stesse.

Riteniamo che a questo risultato abbiano contribuito, in primo luogo, 3 ingredienti decisivi: la ripresa di una fase di mobilitazione sociale, di cui si intravedono diversi segnali (dalla lotta contro i rigassificatori alla manifestazione ad Ancona a un mese dall’alluvione e alle mobilitazioni per la pace), la convergenza tra diversi attori e movimenti sociali nell’individuazione degli obiettivi e una sensibilità che si conferma, anche nella nostra regione, sui temi delle politiche ambientali viste anche come messa in discussione di un modello distruttivo delle risorse e guidato dalla logica produttivista e della pura crescita quantitativa del PIL.

Da questo punto di vista, non solo non convince, ma è indice di una preoccupante incapacità di leggere i processi in atto, oltre che del voler assolvere il governo regionale e dei Comuni di questa regione, il commento del sindaco di Bologna Lepore, all’indomani della manifestazione, quando afferma che “ quella di sabato era la prima grande manifestazione nazionale dove si ritrovano tutte le aree radicali e antagoniste dopo la nascita del governo Meloni….persone da tutta Italia si sono ritrovate a Bologna per motivi politici nazionali”.

 

Si tratta, ora, di consolidare il risultato della manifestazione del 22 ottobre, ragionando sul serio sul fatto che rappresenta un punto di passaggio verso un’ulteriore fase di mobilitazione.

Si tratta, ora, di consolidare il risultato della manifestazione del 22 ottobre, ragionando sul serio sul fatto che rappresenta un punto di passaggio verso un’ulteriore fase di mobilitazione. In questo senso, a noi pare che occorra lavorare almeno su tre elementi di fondo:

 

1) Rafforzare la convergenza tra i movimenti, individuare i prossimi passi della mobilitazione.

Qui, intanto, ci sono 2 punti politici preliminari su cui è bene che ci sia sufficiente chiarezza.

Il primo è che, per superare la frammentazione dei movimenti che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, occorre ricostruire alcuni assi fondamentali su cui è possibile mettere in campo un progetto alternativo di società: dalla lotta per la pace, contro il riarmo e l’idea che la guerra possa essere un mezzo per risolvere le controversie internazionali, a quella per i diritti del lavoro a quella per una conversione ecologica sempre più necessaria ed urgente, visto che è ormai evidente che l’attuale modello di sviluppo mette a repentaglio la biodiversità, attua la deforestazione come prassi e il depauperamento dei fiumi e laghi e se non bastasse siamo all’inquinamento inaccettabile dei mari, mettendo a repentaglio la stessa vita umana sul pianeta, Il secondo punto è che la “spinta propulsiva” per fare ciò è costituita, in primo luogo, dai movimenti e dalle organizzazioni sociali e dalla loro capacità di costruire convergenze, dalla loro autonomia e dalla consapevolezza che essi, al momento, non sono rappresentati da nessuna forza politica e tantomeno subordinati alle stesse.

Questa stessa spinta non proviene, oggi, dai partiti e dalla rappresentanza politica, che, ovviamente, non può essere qualunquisticamente posta tutta sullo stesso piano, ma che, nella fase attuale, vediamo animata da una logica autoreferenziale e, soprattutto, non in grado di essere la leva da cui si produce la possibilità di avviare una svolta rispetto al contrasto delle politiche portate avanti a livello nazionale, regionale e locale.

A partire da questi giudizi e dalla necessità di prefigurare lo sviluppo del percorso che si dipana dalla manifestazione del 22 ottobre, ci sentiamo di proporre alcuni passi da compiere nei prossimi mesi:

– Costruire una mappatura delle lotte ambientali nella nostra regione. Ciò non nasce semplicemente da un’esigenza conoscitiva delle realtà che sono impegnate nelle tante vertenze esistenti in proposito nei territori della regione e neanche dal fatto, peraltro importante, di dare pari dignità e reciproco riconoscimento ad esse.

Questa ipotesi muove i suoi passi, oltre che dalla considerazione che è sui territori che si costruisce consapevolezza rispetto all’attacco ai diritti e al futuro delle comunità, dall’idea di costruire una relazione e un intreccio tra di esse, stabilire rapporti, individuare quelle che, anche simbolicamente, possano rappresentarle al meglio e anche strumenti che possano rafforzarle.

Su questi ultimi aspetti, pensiamo vada considerata come fondamentale, nella prossima fase, la battaglia contro il rigassificatore a Ravenna e, più in generale, l’idea di fare di questa città una delle capitali del metano in Italia.

Cosi come, andrebbe verificata la possibilità di costruire un supporto legale coordinato per le varie vertenze aperte nei territori e che intendono spendersi anche su questo terreno;

– in occasione del secondo anniversario della firma del Patto per il lavoro e il clima della Regione Emilia-Romagna, avvenuta a metà dicembre del 2020, pensiamo utile far risaltare come la gran parte delle “buone intenzioni” lì contenute – a partire dal percorso per avvicinarsi al 100% di energia rinnovabile entro il 2035 – non siano state tradotte in azioni, mentre è continuata – e in alcuni casi accentuata – invece, l’implementazione di politiche ambientalmente regressive, dalle grandi opere alla privatizzazione dei beni comuni, dal consumo di suolo al ricorso alle fonti fossili.

Riteniamo che avrebbe significato costruire, in occasione di quella scadenza, un momento di riflessione e mobilitazione collettiva, di “convergenza”;

– rafforzare le tante vertenze territoriali sui temi ambientali comporta, inoltre, provare a dare ad esse anche un orizzonte generale comune entro le quali in scriverle, mettendo all’ordine del giorno il tema del cambiamento radicale delle politiche regionali sulle questioni ambientali.

quanto abbiamo provato a costruire come RECA, assieme a Legambiente, presentando le 4 proposte di legge di iniziativa popolare regionale in tema di acqua, rifiuti, energia e stop al consumo di suolo, il cui iter di discussione dovrebbe iniziare prossimamente nell’Assemblea regionale.

Proponiamo che esse vengano assunte in termini vertenziali dall’insieme dei movimenti che lavorano sulle questioni ambientali, consapevoli che l’attuale composizione dell’Assemblea regionale non fornisce certo garanzie rispetto alla volontà di assumere la prospettiva che le anima.

In ogni caso, anche al di là delle proposte di legge, riteniamo fondamentale che ci si misuri con le scelte che la Regione e gli Enti locali territoriali producono in materia, con l’intenzione di contrastarle e produrre alternative utili e credibili;

– Rendere più forte il nesso tra scelte che guardano alla conversione ecologica e costruzione di politiche del lavoro, che, in questa chiave, possano produrre maggiore e più qualificata occupazione.

Infine, tutti questi terreni di iniziativa rendono necessario il fatto di dotarsi di idonei strumenti comunicativi, che facciano sì che, anche su questo piano, assolutamente decisivo, possa dispiegarsi al meglio la nostra capacità di costruire senso comune e lettura appropriata nella società regionale.

2) Allargare il consenso, parlare anche al di fuori delle realtà degli attivisti, essere inclusivi.

Proprio il buon risultato della manifestazione del 22 ottobre ci dice che è possibile, oltre che necessario, porsi l’obiettivo di estendere il consenso attorno alla nostra impostazione e alle nostre proposte. Elemento ancora più significativo nel momento in cui è facile prevedere che, con il nuovo governo, aumenterà ulteriormente la “propaganda” rispetto al fatto che la transizione ecologica comporta un “bagno di sangue”, che essa è in contrapposizione con la salvaguardia dei redditi medio-bassi e via dicendo (come che la crisi energetica in corso, non abbia mostrato che la decarbonizzazione del settore avrebbe messo il sistema paese al riparo dai rincari delle bollette).

Avere uno sguardo largo e inclusivo, sapendo che esiste una forza delle nostre proposte, e della mobilitazione che siamo in grado di costruire su di esse, capace di attrarre grandi numeri di individui, oltre che soggetti collettivi strutturati, costituisce un tratto della nostra consapevolezza e ci richiama alla necessità di rifuggire da atteggiamenti minoritari e falsamente identitari.

A questa inclusivi occorrerà, a nostro vedere, ispirare anche le forme della nostra iniziativa e mobilitazione, che non hanno bisogno di costruire steccati aprioristici, ma di essere “attrattivi” per le persone, luoghi gioiosi e pacifici, portatori di messaggi che guardano ad un futuro possibile e abitabile da tutt*. Tantomeno di atteggiamenti e comportamenti escludenti, a partire dalla partecipazione a cortei e manifestazioni.

Oltre a stigmatizzare atteggiamenti violenti, ci pare comunque un grave errore politico allontanare da questi luoghi soggetti che, nelle loro scelte, si muovono in modo non lineare o contraddittorio con i nostri obiettivi. Semmai è un problema per questi soggetti fare operazioni di “greenwashing” (nel senso di proclamare un obiettivo e contraddirsi nella pratica concreta) e, non invece, per movimenti consapevoli dei propri obiettivi e dei passaggi per provare a raggiungerli.

3) Costruire una metodologia per assumere decisioni condivise

Anche questo è un tema che fa organicamente parte di una strategia che fa della convergenza tra i movimenti un punto centrale della sua iniziativa e dell’efficacia della stessa.

In questo senso, essa non è questione puramente metodologica, ma di sostanza – vorremmo dire, di carattere costitutivo.

Vale la pena provare a sperimentare forme che sul serio consentano l’espressione da parte di tutte le realtà che intendono lavorare per la convergenza, superando pratiche che possono restringere i soggetti che poi realmente prendono le decisioni, o ridursi a pratiche tipo intergruppo o alla invocazione di astratte logiche fiduciarie.

Da questo punto di vista, a noi pare che, come messo in atto in alcune situazioni e realtà, possa essere preso come riferimento il metodo del consenso che, com’è noto, si basa sulla ricerca di soluzioni che riescano progressivamente a coinvolgere e far confluire la grande maggioranza dei soggetti coinvolti nella discussione, senza per questo che qualcuno possa esercitare una sorta di diritto di veto sulle decisioni stesse.

Si tratta senz’altro di un percorso complesso, che non si appoggia su una sorta di “manuale” buono per tutti gli usi, ma che può andare nella giusta direzione di rafforzare autonomia e autorevolezza dei movimenti che lavorano per costruire la convergenza

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