LA QUARTA EMERGENZA E LE SCELTE IRRIMANDABILI
Mentre componiamo questa nota gran parte della regione (e di tante altre zone del Paese) è di nuovo sotto la sferza dell’ennesimo evento estremo, che questa volta ha colpito duramente il capoluogo regionale e il suo territorio, con l’esondazione del Ravone, del Navile ed altri corsi d’acqua, fra cui il Savena, cementato, che ha distrutto per l’ennesima volta il cantiere del nodo di Rastignano. Molte vie di comunicazione, nelle valli dell’Idice, del Sillaro, del Lavino, della val di Zeno e Valsamoggia, valle di Setta e Bisenzio, il fondo della Valle Savena e la statale della Futa sono totalmente o parzialmente chiuse.
Ma anche la parte più orientale vede di nuovo allagamenti e gravi disagi, come a Cesenatico che è finita sott’acqua, o nella martoriata Traversara di Bagnacavallo, dove questa volta è stata disposta l’evacuazione preventiva.
È di fatto la quarta alluvione nel giro di un anno e mezzo; eventi che in teoria avevano una possibilità pluridecennale se non addirittura secolare di ripresentarsi, stanno diventando la dura quotidianità, insieme alla perdita di vite umane.
Non si può rinviare la scelta di un profondo ripensamento di tutto l’assetto territoriale, al di là del concetto di “ricostruzione” di cui istituzioni e gran parte dell’opinione pubblica continuano a parlare.
Bisogna concretizzare quei provvedimenti di estrema urgenza che non si possono rinviare, ma si deve anche iniziare subito, senza porre tempo in mezzo, a rivedere un intero modello territoriale espansivo che non è più (se mai lo è stato) sostenibile.
Ridare spazio ai fiumi è un imperativo che deve concretizzarsi in progetti immediati e in rapide realizzazioni di allargamento degli argini ovunque possibile, costruzione di multiple casse di espansione, di diversa tipologia a seconda delle zone, e anche ripensamento delle collocazioni di case e aziende nei punti di massima criticità.
Fino ad ora in troppe occasioni abbiamo sentito, sia nei discorsi della classe dirigente che nelle proteste delle comunità, confondere il concetto di prevenzione con l’ulteriore cementificazione, con la distruzione (anziché il doveroso ripristino) degli ambienti naturali, con la costrizione dei corsi d’acqua entro limiti ristretti anziché l’indispensabile esigenza di spazio. Anche a dispetto di pareri sempre più concordi nella comunità scientifica sulla necessità di optare per la strada della rinaturalizzazione. E allo stesso tempo bisogna fare chiarezza sulle responsabilità reali e spazzare il campo da teorie non basate su evidenze scientifiche e sulla conoscenza dei fenomeni e dei luoghi su cui insistono, per non confondere la legittima protesta con rivendicazioni di natura populista.
Crediamo che la manifestazione del 26 ottobre a Bologna, proposta da RECA e da diverse altre organizzazioni sociali ed ecologiste, con l’adesione di oltre quaranta sigle dell’arcipelago ambientalista e di movimento, sia un appuntamento vitale per tutte e tutti coloro che si ritrovano nell’appello “NON È MALTEMPO, È CRISI CLIMATICA”, e che vogliono rivendicare a chi governerà la politica regionale un vero cambio di passo nella gestione del territorio.
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Appello, logistica e adesioni
manifestazione del 26 ottobre
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